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Solo un altro mattone nel muro, uguale agli altri, squadrato, solido, regolare.
Ci hanno avvertito, ce lo hanno mostrato e alla fine lo hanno fatto: normalizzazione.
Ogni cosa deve rispondere ai canoni della "maggioranza". Ci hanno anche inserito il principio kantiano della legge morale: che quello che deve andare per me deve andare bene a tutti altrimenti non e' morale.. Ma davvero quello che piace a me deve piacere a tutti?
Davvero se non faccio quello che e' "giusto" quello che e' "normale" posso essere additato ed evitato ed addirittura punito?
Pare proprio di si.
E ci sforziamo di rientrare in un bell elenco di etichette dorate che ci piacerebbe ci venissero date come fossimo degli abitini di stilisti famosi.
Quasi che se non abbiamo le etichette di "felice" "bello" "ricco" "buono" "onesto" e chi piu' ne ha piu' ne metta siamo come scarti sociali.
Ci lamentiamo quando gli altri ci riconoscono o non ci riconoscono queste virtu' ma sopratutto siamo noi stessi a lottare e sudare affinche' ci vengano appuntate al petto come medaglie, appuntate al collo come etichette, scritte sulla fronte come una gogna sociale.
Ma siamo stati addestrati fin dai tempi della scuola ad uniformarci: appunto una uniforme che appiattisce la personalita', che rende tutti uguali e a ricasco del giudizio del maestro,
la cattedra che poi diventa lo scranno del parlamento, il pulpito del prete, la scrivania del direttore del personale.
Siamo educati ad ubbidire, a seguire le regole.
Ma dove inizia la liberta' dell altro e dove effettivamente finisce la nostra?
Dove e' la nostra espressione? dove e' il nostro cuore? dove e' il nostro senso di unicita'?
Ci viene richiesto di essere come gli altri e dedichiamo la nostra vita ad esserlo, e se a volte siamo peggiore degli altri questo ci tormenta e ci annichilisce e se siamo migliori ci sentiamo, in fondo, di non essere abbastanza meritevoli.
Bastano pochi anni di scuola e far dimenticare la nostra storia e ad accettare la storia degli altri. Ma dove sono le nostre paure? Le nostre emozioni? Possiamo tenerle con noi solo fino a che non ci prendono qualche ora, qualche momento, qualche secondo fra una lezione e l altra ma dobbiamo liberarcene non appena richiedono un maggiore impegno.
Come un male, una malattia da scacciare con una pasticca come se non ci appartenesse.
Eppure la malattia, la disperazione vogliono dirci qualcosa, qualcosa solo a noi, e non la dicono agli altri. E questo non va bene perche' non si paga il canone, non c'e' pubblicita' e quindi dobbiamo spegnere il canale che ci collega al nostro Io profondo ed accendere la normalita'.
Spegniamo ogni tanto la nostra normalita' e colleghiamoci con la nostra individualita', ce la possiamo ancora fare anche se i nostri maestri ci hanno bacchettao, rileggiamo, ricerchiamo i maestri della vita, ce ne sono stati tanti e tanti ce ne sono anche ora.