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lunedì 24 marzo 2014

Il mutaforme

Ho incontrato il dio Proteo, era appena nato e correva giu' dalla montagna verso il suo stato di lago di Corbara.
Ero nella forra di Prodo e l'ho visto: "Lo vedrete mutare parvenza, e assumere quante sian sulla terra; e in acqua cangiarsi e in rutilo fuoco."
Ma questo dio astuto che conosce presente passato e futuro non svela mai la sua intera saggezza. Egli rispondera' solo alla domanda rivoltagli, e cio' che rivelera' sara' grande o meschino, secondo il tenore della domanda.
E Proteo viene sempre rappresentato sopra la materia, e per interrogare la sua conoscenza bisogna imprigionarlo mentre si trasforma in ogni cosa.
Perche' nella materia scavata dall acqua si ritrova il presente il passato ed il futuro.
E si possono avere le risposte alle proprie paure.
Del vuoto, del profondo, del punto di non ritorno, degli altri, del freddo, della corrente, della forza dell acqua che schiaffeggia e modella la materia, che scava la montagna enorme.
Sono quasi tutte insieme le nostre paure e, come nella nostre mitologie e nelle nostre fiabe,
si trasformano da amichevoli in trappole senza scampo, in errori sacrificali da compiere nel nostro percorso.
Percorriamo la materia seguendo il flusso delle emozioni e veniamo travolti dal flusso dell acqua impetuoso, instancabile, a momenti placido a momenti violento.
Ma sopratutto possiamo agire sulla materia.
Il principio che la non forma puo' agire sulla forma e' intorno a noi.
E' il mondo onirico della forra che rispecchia il cosmo.
E se la forma e' apparenza, se la paura e' apparenza, imprigionarla ci da la risposta alle nostre paure: cortocircuiti mentali, distrazioni dall essenza, dal vaticinio Proteo che va oltre la apparenza alla materia primigenia.
Un incontro difficile da fare cosi' intensamente.
Forse un emozione come incontrare le opere del plasmatore di pietra Gaudi'.
Una materia inerte che pero' viene accarezzata, ammorbidita, scavata dalla corrente.
E' una allegoria del nostro mondo interiore che e' una rappresentazione del mondo esteriore.
Non piu' forma ma materia.
Perdendo la forma si arriva alla materia, possiamo cambiarla con i nostri ruoli, possiamo specchiare le nostre etichette nella societa' e cerchiamo di nuove e di originali ma cambiando le nostre forme arriviamo alla conoscenza di Proteo.
Possiamo farlo facendoci guidare dalle nostre domande piu' sonore ed importanti.
Calatevi anche voi lungo i fiumi della vita: si vivranno avventure straordinarie, mutando tutte le forme possibili, incontrandole o vivendole ed andando oltre verso la materia prima.


lunedì 17 marzo 2014

Tanti tanti auguri

In genere si fanno gli auguri di buone feste, di buon anno, di felicita' eccetera.
Ma vorrei mettere a fuoco gli auguri e dargli molta piu' importanza di quella che spesso hanno: non ti piacerebbe ricevere gli auguri ogni giorno? Forse dopo un po di stuferemmo ma di certo fra un augurio ed un malaugurio non avremmo dubbi a scegliere.
Eppure per poter ricevere tutti gli auguri che meritiamo abbiamo bisogno solo di una piccola, grande cosa: un tempio...
Si forse esagero un po'... ma mi piace farlo perche' esagerando ci si ritrova in posti nuovi:
"...il tempio e' un posto dedicato agli dei e gli antichi etruschi avevano uno o piu' augure che in uno spazio preciso, il tempio appunto, interpretava i segni degli dei sulle decisioni GIA' prese dagli uomini...".
Abbiamo colto questa sottile differenza?
Cioe' oggi ci si rivolge all'avvocato al commercialista al dottore allo psicologo al maestro al coach al prete e invece un tempo ci si rivolgeva direttamente agli dei!
Ma non solo ci si rivolgeva agli dei ma questi ci rispondevano anche!!!
Superstizione? Magia? Suggestione? Empiaggine?
Da wikipedia, Augure:
Il compito degli auguri era quello di trarre auspicia dall'osservazione del volo, del comportamento e del verso degli uccelli per capire se gli dèi approvavano o no l'agire umano sia nell'ambito pubblico che in quello privato, sia in pace che in guerra (auspicia deriva da aves specere, cioè "osservare gli uccelli"). L'augure non doveva predire quale fosse la cosa migliore da fare, ma solo se un qualcosa su cui si era già deciso incontrasse o meno l'approvazione divina.[4]
L'arte degli auguri era chiamata augùrio o auspìcio. L'àugure, come insegna, aveva un bastone ricurvo a forma di punto interrogativo: il lituo.
Niente tavole della legge? Niente Bibbie, Corano, Vangelo? Accidenti che mancanza di regole. No adesso per fortuna ogni religioso sa bene quello che si puo' e quello che non si puo' fare, ogni cittadino modello ha un bel codice civile che si puo' studiare e addirittura ci sono i religiosi piu' religiosi che leggono le regole meglio degli altri e i giudici che battono martelli.
Tu di chi hai bisogno? Ci facciamo un tempio? piccolo, segreto, magari un ermo colle, magari il colle Palatino, dove nacque Roma e dove Romolo uccise Remo dopo aver cercato deciso di essere lui l' unico e trovato i segni degli dei al suo piano.
Possiamo dire che ha sbagliato? Possiamo dire che e' solo leggenda?
E noi quando scriviamo la nostra laggenda? Segnamo il nostro tempio:
una stanza, un quaderno, un luogo dove poter osservare i nostri auspici e tornare a parlare con gli dei, nascosti ai nostri occhi dai mercanti del tempio, scacciamoli, riprendiamo il nostro tempio per riprendere le nostre forze piu' vitali, le nostre decisioni piu' profonde in cui possiamo anche sfidare gli dei se ci sentiamo abbastanza forti.
O rinunciare anche alle nostre idee, ma ritrovando un dialogo interiore che puo' essere comunicazione con gli dei ma sempre e certamente dopo aver deciso: non chiediamo il confronto prima di decidere, questo e' solo una corrosione di tempo e forza.
Decidiamo e chiediamo parere agli dei, chiediamo i loro auguri e se invece ci malediranno sapremo che dovremo essere ancora piu' forti.
Io oggi inizio a costruire il mio tempio: il mio rettangolo nel cielo e domani andro' a cercare gli auguri degli dei e dopodomani continuero' a costruirlo. Ettu'?

lunedì 10 marzo 2014

Si puo' fare la scarpetta?

Mio nonno mi diceva sempre di non farla quando qualche ospita veniva a trovarci.
Eppure era il boccone piu' prelibato di qualsiasi pranzo luculliano e vario.
E' un senso di piena soddisfazione, e' un punto di arrivo di qualsiasi sensazione piu' naturale eppure pulire il piatto e' spesso considerato come un senso di appetito antico, mai sopito, e' sintomo di non aver mangiato abbastanza e chissa' quando ricapitera'...
E fare le scarpe? E' come fare la scarpetta? Un desiderio di andare oltre la propria portata? Il proprio piatto e quindi di prendere qualcosa che, in genere, e' nel piatto di un altro?
Un tempo per andare al lavoro bisognava andarci a piedi e avere le scarpe permetteva di arrivarci prima e meglio e quindi le scarpe erano il nostro passaporto per la sopravvivenza.
E quindi ancora adesso quando possiamo cerchiamo di fare le scarpe.
Ovviamente possiamo farle solo a chi e' vicino a noi, tanto vicino da potergliele rubare mentre dorme...
Dobbiamo usare la nostra scaltrezza, la nostra sagacia e ogni artefizio per poter prendere le scarpe di un altro e farle nostre e nonostante questo il gesto e' vissuto sempre come un tradimento da chi lo subisce e con un piccolo senso di colpa per chi lo effettua.
E' come un Esau' vendiamo il nostro diritto al regno per un piatto di lenticchie.
Per un piatto di lenticchie facciamo le scarpe a chi ci e' vicino.
Giusto o sbagliato poco importa e certo non posso essere io a dirlo ma di certo considero la competizione come una evoluzione della schiavitu'.
La competizione nasce su una base di scarsita', e' quando si compete per la vita si sa che il piu' forte sopravvive ma questa ansia esistenziale di sopravvivenza quanto ci ha fatto rinunciare a riconoscere che spesso non serve rubare le scarpe, che anzi cooperando i risultati possono essere molto maggiori di qualsiasi competizione individulista.
Si puo' essere i migliori e forse si puo' dedicare ogni respiro ad essere il migliore, il piu' forte, ma spesso per farlo si cerca di essere unici e si rimane soli e tristi.
Oppure iniziare a godere dei propri successi, iniziare a godere degli insuccessi altrui.
E passare da una scarpetta colle dita unte ad un nuovo piatto da ingozzare.

Possiamo scegliere in ogni momento di fare la scarpetta e goderci la nostra razione o di fare le scarpe per nuovi piatti prelibati da mangiare ancora.
Fermiamoci un secondo a riflettere e poi facciamo la nostra scelta ma ricordandoci che e' solo e semplicemente una scelta e non un obbligo, non una necessita'.
Scarpe o scarpetta?