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domenica 25 ottobre 2015

Non saremmo noi stessi senza i nostri segreti

Ogni mente ha chilometri di connessioni. Tanti e tali che riusciamo con gli occhi chiusi ad immaginare un mondo enorme, molto piu' grande di quello che potremmo esplorare fisicamente.
E quindi come pensiamo di poter davvero esistere senza avere dentro di noi delle zone di ombra? delle zone mai esplorate? e sopratutto, con gli altri, quanta parte di noi rimane nascosta e non espressa? Quante parole, emozioni, espressioni, sentimenti sono nascoste agli altri in nome di una norma comportamentale forse giusta?
Di fondo non potremmo mai essere completamente alla luce della conoscenza ne' con noi stessi, ne' tantomeno nel mondo civile e fisico.
Come ogni pianeta del cosmo ci sara' la nostra zona d'ombra, ed e' proprio quella che ci fa essere diversi dalla massa unificata, che ci rende individui, individuali ed individuabili.
Per questo si fanno i processi non alle intenzioni ma alle azioni, permettendo alle nostre zone d'ombra di vivere la loro esistenza basta che non interferiscano con la (apparente) luce della norma.
E quindi nel nostro percorso di vita a volte siamo attratti dalla luce ristoratrice e che scalda ed a volte cerchiamo l'ombra della solitudine della individuazione.
Il percorso nel bosco delle favole alla ricerca dei personaggi negativi che popolano la nostra mente ma che hanno enormi poteri.
Potremmo fare il nostro viaggio agli inferi sentendo che possiamo perdere la retta via e rimanere intrappolati nell oscurita'.
Abbiamo a volte il timore di perderci una volta oltre passati i cancella dell ombra ovvero i cancelli della follia ovvero i cancelli dell individualita' dell UNI-VERSO che e' il nostro essere completo.
L'altro giorno riguardavamo in casa un video di una recita di mio figlio a 3 anni, che piangeva per tutto lo spettacolo; gli ho chiesto se ricordasse perche' piangeva e non ricordava, ma poi mi ha detto che piangeva per la vergogna. Non sono uno psicologo ma un bimbo che piange perche' e' davanti ad un riflettore, davanti ad una platea secondo me perche' non ha ancora imparato a difendere e riconoscere la sua zona d'ombra.
Ovvero ci si puo' vergognare quando si ha paura di perdere le proprie debolezze, le proprie insicurezze, insomma tutta quella parte che nascondiamo sotto il tappeto per paura che venga scoperta.
Ed e' cosi' per tutti: difendiamo i nostri segreti con tenacia, per non confondere il mondo dell apparenza con quello piu' intimo. Ma se davvero un fascio di luce illuminasse le nostre parti piu' nascoste queste diventerebbero immediatamente normalizzate, illuminate e senza valore aggiuntivo per noi e per gli altri se non per la paura del giudizio. Il giudizio degli altri, simile al giudizio divino ci incute paura perche' in fondo abbiamo paura della nostra identita' della nostra unicita' della nostra diversita' dagli altri che ci sembrano fondamentali per la nostra esistenza. La paura e' quella di perderci nell abisso buio di noi stessi e vogliamo gli altri per rimanere nella luce della condivisione, della accettazione, sacrificando e abbandonando la nostra zona buia. Ma e' un rischio che possiamo correre, che anzi dobbiamo correre se vogliamo diventare quel qualcuno che e' noi stessi. Possiamo mantenere segreti i nostri segreti, o svelarli ma riconoscendo la nostra zona piu'buia e nascosta aiutiamo il nostro io a partorire. Tu sei disposto ad aprire la stanza segreta di Barbablu?

Ma mi faccia il coach

E' sempre piu' di moda fare il coach e fioccano corsi su corsi.
Sono cresciuto con Roberto Re e mo ci sta' Cere' un cognome un destino... da re moderni?
Non so, mi sembra che su Facebook le scuole di coaching siano in aumento ma e' un po' come la piramide o l'aereo dei miei tempi, in cui riesci a stare su finche' c'e' gente che si mette sotto di te gerarchicamente, economicamente fino a che non si smette di aumentare di numero (credo che oggi si chiami network marketing).
Per quanto mi riguarda sono stato sempre un eretico e un bastian contrario quindi ho partecipato a simili situazioni solo per brevi periodo di studio del sistema...
Ma quello che vorrei mettere in evidenza e' sempre un punto su cui sto cercando di lavorare personalmente: quello del rapporto simmetrico.
Non c'e' maschio alfa del gruppo, il coach dei tempi moderni o il re dei tempi andati (forse),
ma una relazione in cui il rapporto nasce alla pari e cambia gerarchia solo in specifici contesti e per determinati obiettivi e scopi.
Cerco di spiegarmi: se esiste un esercito e' naturale che ci sia un superiore che permetta la gestione di un gruppo di persone.
Se viviamo in una societa' evoluta complessa ci deve essere un sindaco o qualcuno che assuma le funzioni di guida e leadership e va bene.
Ma devono essere situazioni in cui veramente ci sia un governo del cittadino, e in altri ambiti di specializzazione che presume un mandato di leadership in un settore non deve bastare il titolo, che dovrebbe difendere la categoria ma una costante tensione di rinnovamento e di processo funzionale di evoluzione bloccato completamente da chi ha assunto il potere con regole di liberta' e adesso restringe la possibilita' a pochi intimi.
Ogni delega al comando deve poter essere confermata o annullata secondo parametri di piena liberta' di espressione, anche a costo di errori gravi.
Saranno errori con minori conseguenze di un sistema ormai statico e cristallizzato.
La crisi dei valori e' data dalla reale mancanza di capacita' di poter operare per il proprio mondo e quindi per tutto il mondo.
Supereroi come superman non sono piu' di moda, anzi i supereroi che prendono piede e possono essere emulati sono solo quelli distruttivi, ma questo perche' il potenziale di spinta ed evoluzione e' stato completamente soffocato da un sistema bloccato.
La specializzazione di competenze non puo' far nascere rapporti asimmetrici, se non per brevi periodi e con ruoli fluidi ed intercambiabili.
Difficile, forse impossibile, ma ormai necessario.
Non si possono creare leader se la massa non ha capacita' di nomina e di scelta e realmente di poter contribuire alla leadership perche' il ricambio generazionale e' ormai bloccato dall ultima ondata del 68.
Altrimenti si crea una nuova tensione rivoluzionaria che non fa altro che rafforzare il potere per difendere una maggioranza inerme silenziona ed inebetita dalla mancanza di azione reale nel mondo reale.
Creiamo delle scuole di coach ma cambiamo un sistema che fissa le gerarchie rendendole  non elastiche.
Torniamo al maiuta socratico, che non per nulla e' stato condannato a morte, che alleva la nascita di un nuovo sistema di espressione e di equilibrio.
Una leadership basata sull esempio congruo e coerente con una base di rinnovo e di dimostrazione perenne di capacita', senza rendite che non possono che essere a scapito di meriti altrui, ovvero a scapito di tutta l'umanita'.

domenica 4 ottobre 2015

Vivi la tua leggenda

E' una particolare coincidenza che sto leggendo e scoprendo con molto ritardo le esperienze di Messner e scoprire che un ragazzo simpatico e' morto scalando il kilimanjaro.
Non era un ragazzo qualsiasi ma un simpatico e motivante Scott Dinsmore che invita in tutto il mondo le persone a seguire la propria leggenda, inquadrando le proprie motivazioni ed ispirazioni ed alimentandole.
E' peculiare che proprio lui sia morto dopo aver venduto tutto ed essere partito con la moglie a fare il giro del mondo per crescere, fare nuove esperienze e vivere la sua leggenda. Ed e' morto facendo questo, a 33 anni l'eta' dei profeti. E leggendo Messner e della sua continua gestione del rischio, dell accoglienza dei fallimenti che gli hanno permesso i successi. Della morte del fratello, dei compagni di cordate e di alpinismo ricordandoci che in fondo le probabilita' di morire in citta' e per lavoro non sono cosi' remote, cosi' quanto le percepiamo.
E questa ricerca del limite, del confine e della liberta' DI, vera liberta' da non confondere con la idealizzata liberta' DA, questo allenamento ad esprimere il proprio potenziale umano e personale che da' un senso di pienezza.
E' difficile capire una persona che dedica la vita alla "conquista dell inutile" come lo ha definito lui sulla base di una definizione di un alpinista francese.
Ma vorrei ribadire che l' inutile non puo' essere altro che ogni azione umana.
Lo stipendio a fine mese, le responsabilita' familiari sono certo moralmente doverose ma definitivamente inutili al senso della vita come esperienza spirituale, come conoscenza di se' e dell'uomo.
Quindi lo scopo della nostra azione e' sostanzialmente inutile, anzi sarebbe da ricordare che ogni nostro sforzo ha vita breve, per quanta influenza possa avere nell immediato e nel lungo periodo.
Ma cio' non di meno l'opera umana, la sua azione e' esattamente l espressione della nostra grandezza, della cui dimensione sia noi in primo luogo responsabili.
Se tutti vivessimo ai confini delle possibilita' umane forse queste aumenterebbero immediatamente.
Ognuno di noi ha un potenziale energetico da spendere, nella maggior parte dei casi lo spendiamo nel compito a noi assegnato da terzi a cui rinonosciamo, o comunque deleghiamo, la nostra esistenza produttiva e spesso tutta la nostra esistenza delegandola per specifiche conoscenze: il prete per l'anima, il dottore per il corpo, il giudice per il rapporto con gli altri, al sindaco e al parlamento per le nostre funzioni di cittadini, al nostro datore di lavoro per il nostro pane quotidiano.
Ma giusto o sbagliato che sia il risultato e' che deleghiamo la nostra vita a vivere la leggenda di altri, non la nostra.
Certo scalare una montagna non ci libera dei nostri limiti ma anzi ce li fa conoscere, ci fa allenare la nostra volonta' come puo' esserlo qualsiasi attivita' che possiamo fare nel nostro tempo libero, almeno all inizio per tacitare gli altri e la nostra moralita'.
Scegliamo un azione, semplice, immediata, inutile e facciamola, iniziamo da quel piccolo limite a scoprire i nostri confini. Non importa quale sia, basta che sia una che ci piaccia, puro atto di egoismo per iniziare a scoprire il nostro potenziale umano.